L’integrazione di chetoni nella malattia di Alzheimer 

È ormai chiaro che nella malattia di Alzheimer il cervello dimostra dei “problemi” nel metabolismo glucidico, e che tali alterazioni risultano poi importanti per la progressione della patologia stessa. Ciò è dimostrato dalle evidenze derivanti dall’esecuzione di FDG-PET in soggetti affetti, e si pensa che tutto questo sia dovuto ad insulino-resistenza cerebrale (infatti si parla proprio di diabete di tipo 3).

Poiché i corpi chetonici risultano essere un carburante ben utilizzato dal sistema nervoso, in particolar modo in determinate circostanze, è ovvio pensare che si possa sopperire alla deficienza del metabolismo glucidico mediante queste molecole. Sulla base di questo ragionamento alcuni ricercatori hanno effettivamente osservato che in presenza di malattia di Alzheimer, il trasporto di glucosio nel cervello risulta inefficacie, mentre quello dei corpi chetonici rimane sostanzialmente inalterato. Pertanto gli stessi ricercatori hanno concluso che potrebbe essere utile rifornire il cervello di corpi chetonici, appunto per consentirgli di avere sufficiente energia per il suo corretto funzionamento. Quindi l’utilizzo di integratori a base di chetoni potrebbe risultare uno strumento interessante per il trattamento della patologia di Alzheimer.

Uno studio condotto su modelli murini di Alzheimer ha valutato l’efficacia di esteri chetonici, in particolare del beta-idrossibutirrato e del 1,3-butanediolo, nel rallentare o sopprimere la progressione della malattia. I topi che seguivano la dieta integrata con esteri dei corpi chetonici (per un ammontare circa del 20% delle calorie totali assunte), rispetto a quelli alimentati normalmente, dopo 4 e 7 mesi dimostravano migliori performace nei test di memoria ed apprendimento, e si evidenziava, mediante analisi immunoistochimica del cervello, una minore deposizione di tau e beta amiloide nella corteccia, nell’ippocampo e nell’amigdala.

Uno studio simile a questo, sempre condotto su modelli murini di Alzheimer, ha verificato l’effetto derivante dalla somministrazione dell’estere metilico del 3-idrossibutirrato (HBME), un derivato del beta-idrossibutirrato, in quantitativo pari a 40 mg/kg di peso al giorno. Si è notato come i topi trattati dimostrassero un miglioramento della memoria e delle capacità di apprendimento, rispetto agli animali non trattati. Inoltre le analisi hanno evidenziato che l’HBME è stato in grado di prevenire alterazioni dei ventricoli, che invece si sono verificate nei topi non trattati. Proseguendo la somministrazione dell’estere metilico del 3-idrossibutirrato per due mesi e mezzo, si sono ridotte le placche di beta amiloide sia nella corteccia che nell’ippocampo. I ricercatori hanno concluso che l’HBME è stato utilizzato dai neuroni come fonte di energia alterativa al glucosio, e ha permesso un migliore funzionamento dei mitocondri, andando a ridurre la produzione di radicali liberi dell’ossigeno.

Riguardo l’utilizzo di supplementi a base di corpi chetonici è giusto riportare quanto accaduto in un paziente che ha seguito questo tipo di integrazione. Un case-report del 2015 ha sottolineato la potenzialità degli acidi grassi a catena media (MCFA) e del (R)-3-idrossibutil (R)-3-idrossibutirrato (chetone monoestere (KME)) nel trattamento dell’Alzheimer. La sperimentazione è stata condotta su un signore di 63 anni, con diagnosi di Alzheimer precedente 12 anni l’inizio dello studio, e portatore della variante APOE4. La patologia ha seguito una evoluzione molto veloce, portando ad un forte deterioramento della memoria e addirittura all’incapacità di portare a termine le comuni faccende della vita quotidiana. Tra il 2004 e il 2008 il suo punteggio nel questionario MMSE è sceso da 23 a 12 punti, e la diagnostica per immagini ha rivelato atrofia dell’ippocampo e dell’amigdala nonchè alterazioni dei lobi frontali e parietali. Nel maggio del 2008 il paziente ha iniziato ad introdurre nella sua usuale dieta, olio di cocco e oli composti da trigliceridi e acidi grassi a media catena, in quantità di circa 165ml al giorno, dividendo l’apporto in 3 o 4 razioni giornaliere. Dopo appena 75 giorni il punteggio nel questionario MMSE passava da 10 a 20 punti. Dopo 20 mesi di trattamento il paziente cotinuava a migliorare dimostrando miglioramenti cognitivi e fisici: il punteggio nella scala ADAS-Cog è aumentato di 6 punti, e la scala relativa al livello di attività di tutti i giorni ha “ricevuto” un incremento di 14 punti. La risonanza magnetica ha permesso di osservare come nonostante il tempo trascorso, non si registrava alcun avanzamento rilevabile della malattia nel cervello, che manteneva inalterato il livello di atrofia, suggerendo sostanzialmente un blocco del processo patologico in atto. A partire dal 2010 il signore ha iniziato ad introdurre nella sua dieta anche il (R)-3-idrossibutil (R)-3-idrossibutirrato, in quantità di circa 28,7 grammi, ripartite in 3 somministrazioni giornaliere. Dopo pochi giorni dall’integrazione di questa molecola il paziente ha mostrato grandi miglioramenti, ritornando ad avere la capacità di scrivere e leggere l’alfabeto, di vestirsi autonomamente, di lavare e rimettere in ordine i piatti, di cotruire pensieri astratti, e si registrava anche un miglioramento dell’umore. Lo stesso paziente riportava di sentirsi più felice e più energetico dacchè aveva iniziato l’assunzione del chetone mono estere. Con il passare del tempo il signore ha visto un continuo avanzamento della “situazione” riuscendo a compiere operazioni complesse come lavorare in cantiere. Da notare come sia gli acidi grassi a catena media che il (R)-3-idrossibutil (R)-3-idrossibutirrato hanno significativamente aumentato la chetonemia, anche se il paziente ha proseguito nel mantenere la sue abitudini alimentari.

Il (R)-3-idrossibutil (R)-3-idrossibutirrato si è dimostrato particolarmente efficace nell’indure la chetosi, aumentando i livelli circolanti di chetoni fino a 7 mM entro 1 ora dalla somministrazione. Si tratta di una concentrazione circa 5-10 volte più elevata di quella raggiungibile con una classica dieta chetogenica o mediante l’utilizzo dei soli acidi grassi a catena media.

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Il medico curante del paziente, che lo ha seguito durante tutto il percorso, ha notato come i miglioramenti più evidenti si registravano proprio quando erano presenti picchi di concentrazione di corpi chetonici nel sangue, e come nel corso di tutta la sperimentazione non si iano verificati effetti avversi, suggerendo la icurezza, anche sul lungo periodo, dell’utilizzo di tali supplementi.

Resta inteso che non tutti i pazienti affetti da Alzheimer rispondono alla medesima maniera a questa tipologia di integrazione, tuttavia sarebbero davvero necessarie più appronfondite indagini, al fine di chiarire con maggiore precisione l’effetto di queste soostanze, di modo da poterle usare sempre meglio per combattere questa debilitante patologia neurodegenerativa, in particolar modo in quei pazienti che non riescono a seguire restrizione dietetiche (dieta chetogenica), o che non possono per altre situazioni contingenti.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Cunnane, S. C., Courchesne‐Loyer, A., St‐Pierre, V., Vandenberghe, C., Pierotti, T., Fortier, M., … & Castellano, C. A. (2016). Can ketones compensate for deteriorating brain glucose uptake during aging? Implications for the risk and treatment of Alzheimer’s disease. Annals of the New York Academy of Sciences, 1367(1), 12-20.
  • Kashiwaya, Y., Bergman, C., Lee, J. H., Wan, R., King, M. T., Mughal, M. R., … & Veech, R. L. (2013). A ketone ester diet exhibits anxiolytic and cognition-sparing properties, and lessens amyloid and tau pathologies in a mouse model of Alzheimer’s disease. Neurobiology of aging, 34(6), 1530-1539.
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