Terapia “nutrizionale” del diabete: il ruolo svolto dalle diete chetogeniche

Viviamo in un periodo storico contraddistinto dall’abbodanza di cibo e dall’estrema facilità di reperirlo. La produzione su scala industriale ha permesso inoltre una forte diminuzione dei costi di produzione, e tutto questo ha portato ad una esplosione di patologie correlate con una alimentazione scorretta o comunque con una eccessiva assunzione di cibo. Perciò ci si ritrova oggi con un numero sempre crescente di persone affette da obesità, diabete, sindrome metabolica, e le stime non sono certo ottimistiche.

Facendo riferimento al diabete in particolare, con maggiore attenzione al tipo 2, ma tenendo presente anche il tipo 1, è possibile affrontare la patologia con miglior successo se si adottano “particolari” strategie dietetiche, che ancora non riscontrano grandissimo favore neppure tra gli “addetti ai lavori”, nonostante la letteratura scientifica offra ormai numerosi spunti. In questo articolo perciò si vuole analizzare una serie di evidenze relative all’uso delle diete chetoniche relativamente alla patologia diabetica.

 

1. DIETE A BASSO APPORTO DI CARBOIDRATI E LIVELLI EMATICI DI GLUCOSIO

Caratteristica saliente del diabete tipo 1 e del diabete tipo 2 è sicuramente l’elevato livello ematico di glucosio. La presenza di una glicemia elevata espone al rischio di produzione dei cosiddetti AGE, ovvero advanced glycation end products. La glicazione dell’emoglobina è sicuramente una delle conseguenze più note relative all glicemia elevata, ed è così importante da essere stata scelta come paramentro di riferimento nella diagnosi e nel trattamento della patologia diabetica.

E’ ormai universalmente riconosciuto come i carboidrati siano il fattore di maggiore importanza nella determinazione della glicemia e di conseguenza dell’emoglobina glicata, e una riduzione dei carboidrati si dimostra efficace nella riduzione di questi parametri ematochimici.

Uno studio condotto nel 2012 ha sondato l’effetto della dieta chetogenica (LCKD) e di una normale dieta a basse calorie (LCD) in un certo numero di soggetti affetti da diabete di tipo 2. Per la precisione sono state arruolate persone (363 in totale) con un indice di massa corporea superiore a 25 kg/m² e una glicemia a digiuno di almeno 125 mg/dL di sangue. Di seguito i valori basali dei soggetti scelti prima di iniziare lo studio.

lcd lckd

Il periodo di osservazione è stato di 24 settimane, nel corso delle quali i 102 diabetici e i 261 controlli sono stati opportunamente controllati ed istruiti circa la dieta da seguire, i cibi consentiti e quelli da evitare. Andando ad osservare i risultati si può notare come tra i diabetici che avevano seguito il protocollo chetogenico (LCKD) la glicemia ha subito una repentina diminuzione, che si è dimostrata significativamente maggiore rispetto a quella osservata nei soggetti che avevano seguito il protocollo nutrizionale “classico” (LCD).

glicemia
I triangoli bianchi sono i soggetti in LCD, quelli neri sono i soggetti in LCKD. In generale i triangolo sono i pazienti affetti da diabete tipo 2. I cerchietti indicano i controlli, con la medesima logica “illustrativa” dei triangoli.

 

Pertanto dopo 24 settimane la dimuzione media della glicemia nei diabetici tipo 2 mantenuti in LCKD era di circa 1mM maggiore di quelli mantenuti in LCD. Inoltre osservando il grafico si nota come in quelli alimentati con la dieta “classica” a basse calorie, dopo circa 16 settimane la glicemia smetta di scendere, mentre invece la “discesa” prosegue senza sosta nei pazienti mantenuti in chetogenica. E’ importante inoltre osservare come nei controlli la dieta chetogenica non produca alterazioni glicemica, alla stessa stregue della dieta a basso contenuto calorico.

Le differenze diventano ancora più marcate e sostanziose se si passa ad osservare le variazioni subite dalla emoglobina glicata (HBA1c) nei due gruppi (LCD e LCKD).

hba1c
Triangoli bianchi indicano i pazienti con diabete tipo 2 che hanno seguito la dieta LCD; i triangoli neri indicano i pazienti con diabete tipo 2 che hanno seguito la dieta LCKD.

Dopo 24 settimane i pazienti diabetici che avevano seguito la dieta chetogenica (LCKD) presentevano mediamente una emoglobina glicata di 6,2 , mentre quelli mantenuti in dieta LCD un valore medio ben al di sopra di 7,5.

Credo sia di impatto anche riportare la tabella riassuntiva relativa alle variazioni del peso corporeo, dell’indice di massa e della circonferenza addominale.

tab2

 

2. I BENEFICI DI UNA DIETA A RIDOTTO CONTENUTO DI CARBOIDRATI NON RICHIEDONO LA PERDITA DI PESO

Nonostate sia appurato ed assodato che una riduzione del peso sia sicuramente di beneficio sull’andamento della patologia diabetica, va specificato che gli effetti positivi di un protocollo alimentare a basso apporto di carboidrati non passano necessariamente, o meglio, esclusivamente attraverso il calo ponderale. E questo è di grande importanza, se si considera il fatto che se è vero che spesso il diabete si ritrova in soggetti sovrappeso o obesi, è anche vero che la patologia è riscontrabile anche in individui che non presentano la evidente necessità di perdere peso.

Alcuni studi hanno indagato sull’efficacia delle diete a basso apporto di glucidi, rispetto al controllo glicemico, al profilo lipidico ed ormonale, preoccupandosi di mantenere stabile il peso dei partecipanti. In particolare uno studio del 2010, ha messo in evidenza come una dieta che prevedesse un apporto di carboidrati pari al 30% del fabbisogno, in assenza di perdita di peso, produceva un migliore controllo glicemico.

Schermata 08-2457967 alle 21.03.12
Le lettere B, L, D, S, indicano rispettivamente il momento della colazione, pranzo, cena e spuntino.

Schermata 08-2457967 alle 21.04.00

Ossevando i grafici sopra riportati si può facilmente notare come il controllo glicemico sia notevolmente migliorato tra i partecipanti allo studio, senza launa riduzione del peso corporeo, confermando la bontà delle diete a basso contenuto di carboidrati, anche in assenza di calo ponderale. Questo aspetto è di assoluta rilevanza se si considera la grnde difficoltà di molte persone a perdere peso.

 

3. LE DIETE A BASSO APPORTO DI CARBOIDRATI SONO LE PIU’ EFFICACI PER LA PERDITA DI PESO

Sebbene come si è appena visto, in caso di diete a basso apporto di carboidrati, non sia necessaria la perdita di peso per godere di un migliore controllo glicemico, è fuori di dubbio che il calo ponderale ha un impatto positivo sul decorso della patologia deiabetica. E in termini di perdita di peso le diete a ridotto contenuto di carboidrati sono le più efficaci.

In uno studio del 2007 vennero reclutati 26 soggetti, di cui 13 diabetici e 13 controlli, casualmente assegnati ad una dieta a basso apporto di carboidrati (circa 40 grammi al giorno) o ad una dieta in linea con le indicazioni fornite dalle linee guida britanniche per il trattamento del diabete. I soggetti furono seguiti per un periodo totale di 3 mesi. I risultati registrati al termine dello studio evidenziarono una maggiore perdita di peso nei soggetti alimentati con la dieta a basso contenuto di carboidrati, come si può osservare nella tabella sottostante.

Schermata 08-2457968 alle 19.11.04

E’ interessante riportare anche i risultati ottenuti in studio del 2008 dove gli autori hanno voluto sondare i differenti effetti di una dieta chetogenica rispetto ad una a basso indice glicemico, rispetto al controllo dei livelli ematici di glucosio. A tale scopo i ricercatori reclutarono 97 individui (non tutti comunque arrivano al termine del periodo di osservazione) e casualmente li assegnarono ad una dieta chetogenica (VLCKD) e ad una dieta a basso indice glicemico (LGID). Il grafico seguente riassume alcuni dei risultati ottenuti al termine del periodo di osservazione.

Schermata 08-2457968 alle 19.20.42
I triangoli rossi rappresentano i soggetti che hanno seguito la dieta VLCKD, mentre i quadrati di colore blu indicano i soggetti in dieta LGID.

Ciò che si può facilmente notare è come la perdita di peso sia stata più consistente tra i soggetti sottoposti al trattamento dietetico chetogenico, ed inoltre si può osservare come solo pochissimi soggetti, rispetto a quelli in dieta a basso indice glicemico, abbiamo riportato un innalzamento dell’emoglobin glicata. Inoltre, ed è importante per quanto descritto nel punto precedente, non esiste una correlazione tra la perdita di peso e il controllo glicemico.

A supporto del fatto che le diete a basso contenuto lipidico non siano affatto più efficaci delle diete a basso apporto di carboidrati per la perdita di peso, vi sono i dati derivanti dal grande studio WHI (The Women’s Health Initiative) , dove hanno partecipato ben 48.000 donne nel periodo post menopausa. Al termine dello studio, durante il quale le donne furono istruite a seguire una dieta ricca di frutta, vegetali e cereali, e a consumare un massimo di 20% di grassi, si registrò una diminuzione media di peso di circa 2,2kg. Tale peso venne interamente ripreso dopo che lo studio terminò.

 

4. I GRASSI ALIMENTARI, ANCHE QUELLI SATURI, NON SONO CORRELATI CON IL RISCHIO DI PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI

Quando si parla di diete chetogeniche, o più in generale di diete a ridotto apporto di carboidrati, una delle questioni più spesso sollevate riguarda l’apporto di grassi, additandolo come fattore di rischio per le malattie del sistema cardiovascolare.

A partire dal famosissimo Framingham Study fino al prima citato WHI, numerosi studi hanno tentato di dimostrare la relazione tra grassi alimentari e malattie cardiovascolari, finendo sempre per fallire. Al momento è possibile rifarsi ad importanti metanalisi nelle quali sono stati “racchiusi” numerosi studi mirati ad indagare l’effetto della sostituzione dei grassi saturi con grassi poli-insaturi o con carboidrati, rispetto al rischio di patologie cardiovascolari. I risultati indicano senza mezzi termini che non è possibile dimostrare alcun nesso di causalità tra l’assunzione di grassi saturi e le malattie cardiovascolari, mentre invece esce fuori una correlazione positiva tra incidenza di “problematiche coronariche” e assuzione di carboidrati.

Quindi sebbene non sia possibile affermare una correlazione tra grassi alimentari, inclusi quelli saturi, e malattie cardiovascolri, è ormai sempre più chiaro che esiste una relazione tra il quantitativo plasmatico di grassi saturi, malattie cardiovascolari e insulino-resistenza. Il quantitativo di grassi saturi circolanti è determinato da una aumentata produzione di lipoproteine contenenti trigliceridi, da una ridotta clearance di queste ultime, e dall’effetto dei carboidrati sulla sintesi lipidica. Pertanto non sono i grassi saturi alimentari ad incidere sul quantitativo totale di lipidi saturi circolanti, ma bensì sono i carboidrati, il macronutriente che “controlla” questo parametro.

A dimostrazione di questo si può citare uno studio dove 40 pazienti con diagnosi di sindrome metabolica furono sottoposti a due trattamenti dietetici distinti, uno chetogenico (VLCKD) ed uno low-fat. Il gruppo in VLCKD rispetto a quello in low-fat dimostrò una riduzione significativa dei livelli plasmati di grassi saturi, nonostante avessero mangiato il triplo dei grassi saturi ingeriti dal gruppo low-fat.

 

5. RIDURRE L’APPORTO DI CARBOIDRATI E’ IL MIGLIOR METODO PER RIDURRE I TRIGLICERIDI CIRCOLANTI ED AUMENTARE IL COLESTEROLO HDL

La riduzione dei carboidrati assunti con la dieta è senza dubbio la strategia più efficace per ridurre tutti i criteri diagnostici della sindrome metabolica.

Uno studio condotto su 210 pazienti affetti da diabete di tipo 2 ha verificato gli effetti derivanti da una dieta ad elevato contenuto di cereali, con una dieta a basso indice glicemico. Risultò un aumento di 1,7 mg/dL del colesterolo HDL nei soggetti in dieta a basso indice glicemico, mentre si registrò una diminuzione di 0,2 mg/dL nei soggetti che avevano consumato la dieta ad elevato contenuto di cereali.

Di seguito si riporta un grafico molto esplicativo che racchiude i risultati ottenuti nello studio appena descritto, rispetto ad uno studio nel quale si confrontarono una dieta chetogenica rispetto ad una dieta a basso indice glicemico, su soggetti affetti da diabete di tipo 2.

Schermata 08-2457968 alle 20.16.12

Dal grafico risulta evidentissimo come la dieta chetogenica abbia prodotto i risultati “migliori”. Infatti si osserva innanzi tutto una diminuzione incredibilmente più alta di tutte le altre strategie alimentari, nei livelli circolanti di trigliceridi, ma le differenze sono evidenti anche negli altri parametri. Il colesterolo HDL risulta sensibilmente più elevato negli individui che hanno seguito il regime chetogenico rispetto a tutti gli altri, e nella stessa maniera si registra la diminuzione più importante nei valori della emoglobina glicata, tra gli indivudui in dieta a ridotto apporto di carboidrati (VLCKD).

Alcuni potrebbero tuttavia osservare che tra i soggetti mantenuti in chetogenica, come si osserva dal grafico sopra, si registra un aumento dei livelli circolanti del colesterolo LDL. Come si è già visto per i grassi alimentari, ad oggi numerosi studi condotti hanno fallito il compito di dimostrare un nesso causale tra la diminuzione dei livelli circolanti di colesterolo LDL e la mortalità. Nel corso del già citato Framingham Study risultò che la diminuzione di 1 mg/dL di colesterolo LDL per ogni anno, corrispondeva ad un incremento del 14% di morte per cause cardiovascolari, e ad un aumento di mortalità generale dell’11%. Risultati assai simili sono stati visti in altri studi.

 

6. I PAZIENTI CON DIABETE TIPO 2 IN TRATTAMENTO CON DIETE A RIDOTTO APPORTO DI CARBOIDRATI, SOVENTE RIDUCONO I MEDICAMENTI, E SPESSO LI ELIMINANO DEL TUTTO. I DIABETICI TIPO 1 SPESSO DIMINUISCONO LE DOSI DI INSULINA

Per quanto fin quì detto questo punto dovrebbe risultare abbastanza ovvio. Il miglior controllo glicemico indotto dai regimi dietetici a ridotto apporto di carboidrati, consente di rivedere le prescrizioni farmacologiche, e spesso può capitare che vengano completamente esclusi tutti i farmaci nei soggetti affetti da diabete di tipo 2. Mentre invece nelle persone con diabete tipo 1 si possono ridurre i quantitativi di farmaci ipoglicemizzanti. Ad ogni modo in entrambi i casi le diete a ridotto apporto di glucidi riducono il numero e la severità degli episodi iperoglicemici e iperglicemici.

Uno studio ha indagato l’effetto di una dieta chetogenica (VLCKD con circa 20-50 grammi di carboidrati al giorno) in pazienti diabetici, con lo scopo di verificare l’effetto sul livello dei medicamenti necessari, paragonando i risultati con una dieta a basso contenuto calorico. Di 11 pazienti che facevano uso di farmaci che sono stati sottoposti a dieta VLCKD, ben 5 hanno ridotto i medicamenti e 2 hanno addirittura tolto tutti i farmaci. Di 13 pazienti che hanno seguito la dieta a contenuto medio di carboidrati, solamente uno ha interrotto l’utilizzo di un singolo farmaco.

Schermata 08-2457968 alle 21.58.21

Risultati simili a questi sono stati ottenuti in ulteriori studi, dimostrando l’efficacia delle diete a basso contenuto di carboidrati nei soggetti affetti da diabete.

 

Bibliografia :

  • Accurso, Anthony, et al. “Dietary carbohydrate restriction in type 2 diabetes mellitus and metabolic syndrome: time for a critical appraisal.” Nutrition & metabolism 5.1 (2008): 9.
  • Westman, Eric C., et al. “The effect of a low-carbohydrate, ketogenic diet versus a low-glycemic index diet on glycemic control in type 2 diabetes mellitus.” Nutrition & metabolism 5.1 (2008): 36.
  • Rizza, Robert A. “Pathogenesis of fasting and postprandial hyperglycemia in type 2 diabetes: implications for therapy.” Diabetes 59.11 (2010): 2697-2707.
  • Hussain, Talib A., et al. “Effect of low-calorie versus low-carbohydrate ketogenic diet in type 2 diabetes.” Nutrition 28.10 (2012): 1016-1021.
  • Gannon, Mary C., Heidi Hoover, and Frank Q. Nuttall. “Further decrease in glycated hemoglobin following ingestion of a LoBAG 30 diet for 10 weeks compared to 5 weeks in people with untreated type 2 diabetes.” Nutrition & metabolism 7.1 (2010): 64.
  • Gannon, Mary C., and Frank Q. Nuttall. “Control of blood glucose in type 2 diabetes without weight loss by modification of diet composition.” Nutrition & metabolism 3.1 (2006): 16.
  • Nuttall, Frank Q., et al. “Effect of the LoBAG30 diet on blood glucose control in people with type 2 diabetes.” British Journal of Nutrition 99.3 (2008): 511-519.
  • Howard, Barbara V., et al. “Low-fat dietary pattern and weight change over 7 years: the Women’s Health Initiative Dietary Modification Trial.” Jama 295.1 (2006): 39-49.
  • Tinker, Lesley F., et al. “Low-fat dietary pattern and risk of treated diabetes mellitus in postmenopausal women: the Women’s Health Initiative randomized controlled dietary modification trial.” Archives of internal medicine 168.14 (2008): 1500-1511.
  • Dyson, P. A., S. Beatty, and D. R. Matthews. “A low‐carbohydrate diet is more effective in reducing body weight than healthy eating in both diabetic and non‐diabetic subjects.” Diabetic Medicine 24.12 (2007): 1430-1435.
  • Howard, Barbara V., et al. “Low-fat dietary pattern and risk of cardiovascular disease: the Women’s Health Initiative Randomized Controlled Dietary Modification Trial.” Jama 295.6 (2006): 655-666.
  • Volek, Jeff S., et al. “Carbohydrate restriction has a more favorable impact on the metabolic syndrome than a low fat diet.” Lipids 44.4 (2009): 297-309.
  • Anderson, Keaven M., William P. Castelli, and Daniel Levy. “Cholesterol and mortality: 30 years of follow-up from the Framingham Study.” Jama 257.16 (1987): 2176-2180.
  • Jakobsen, Marianne U., et al. “Major types of dietary fat and risk of coronary heart disease: a pooled analysis of 11 cohort studies.” The American journal of clinical nutrition 89.5 (2009): 1425-1432.
  • Forsythe, Cassandra E., et al. “Limited effect of dietary saturated fat on plasma saturated fat in the context of a low carbohydrate diet.” Lipids 45.10 (2010): 947-962.
  • Mozaffarian, Dariush, Eric B. Rimm, and David M. Herrington. “Dietary fats, carbohydrate, and progression of coronary atherosclerosis in postmenopausal women.” The American journal of clinical nutrition 80.5 (2004): 1175-1184.
  • Chowdhury, Rajiv, et al. “Association of dietary, circulating, and supplement fatty acids with coronary riska systematic review and meta-analysis.” Annals of internal medicine 160.6 (2014): 398-406.
  • Lin, Jiandie, et al. “Defects in adaptive energy metabolism with CNS-linked hyperactivity in PGC-1α null mice.” Cell 119.1 (2004): 121-135.
  • Forsythe, Cassandra E., et al. “Comparison of low fat and low carbohydrate diets on circulating fatty acid composition and markers of inflammation.” Lipids 43.1 (2008): 65-77.
  • Orchard, Trevor J., et al. “Cumulative glycemic exposure and microvascular complications in insulin-dependent diabetes mellitus: the glycemic threshold revisited.” Archives of internal medicine 157.16 (1997): 1851-1856.
  • Jenkins, David JA, et al. “Effect of a low–glycemic index or a high–cereal fiber diet on type 2 diabetes: A randomized trial.” Jama 300.23 (2008): 2742-2753.
  • Saito, Nobue, et al. “Low serum LDL cholesterol levels are associated with elevated mortality from liver cancer in Japan: the Ibaraki Prefectural health study.” The Tohoku journal of experimental medicine 229.3 (2013): 203-211.
  • Saslow, Laura R., et al. “A randomized pilot trial of a moderate carbohydrate diet compared to a very low carbohydrate diet in overweight or obese individuals with type 2 diabetes mellitus or prediabetes.” PloS one 9.4 (2014): e91027.
  • Nielsen, Jörgen V., and Eva A. Joensson. “Low-carbohydrate diet in type 2 diabetes: stable improvement of bodyweight and glycemic control during 44 months follow-up.” Nutrition & metabolism 5.1 (2008): 14.
  • Boden, Guenther, et al. “Effect of a low-carbohydrate diet on appetite, blood glucose levels, and insulin resistance in obese patients with type 2 diabetes.” Annals of internal medicine 142.6 (2005): 403-411.
  • Iso, Hiroyasu, et al. “Serum total cholesterol and mortality in a Japanese population.” Journal of clinical epidemiology 47.9 (1994): 961-969.

 

 

Lascia un commento